E so già che accadrà sempre più o meno la stessa cosa.
Che prima di iniziare a scrivere, inconsciamente, penserò alle persone che leggeranno come ai miei nemici.
È una cosa priva di ogni rancore. Però guardo il mio virtuale foglio bianco, e penso o dico: Dai, facciamogli il culo.
Sono i miei antagonisti. Sono lì perché si aspettano qualcosa, e io devo convincerli. È come andare in scena. Fare uno spettacolo.
Però non sono un attore. Non ho una parte. Sono me stessa e basta, e a volte neanche per intero.

Greimas elaborò una teoria, quella degli attanti. Ovvero persone che svolgono un compito, che hanno un ruolo, ma non sono personaggi, non sono attori, sono loro stessi, all’interno di un piano. Quando scrivi sei un attante. Non ti metti nessuna maschera e non hai nessun copione, ma l’obiettivo è quello di lasciare senza parole.
Quando capita anche a te, allora il momento è perfetto.

Dissolvenza dal nero.
Titoli di testa.

Credere alle favole.
Credere alle favole vuol dire una cosa pericolosissima: vuol dire vedere il mondo come un puzzle i cui pezzi, è solo questione di tempo, si incastreranno tutti alla perfezione. In cui tutto andrà per il meglio. Avere la convinzione, contraria ad ogni evidenza, che il mondo sia un posto di precisione – mentre è di fatto un posto di approssimazione.
E non è un discorso pessimistico, il mio.
È un discorso di sano, terrificante, amore per il caos, per la mutazione, per l’incostanza dei sentimenti, per la varietà di pensieri deboli.
Io amo gli emarginati, gli esclusi, quelli che dalle fiabe sono dimenticati: una principessa e un principe, dopo mille peripezie, si amano e si sposano? Meh.
E che ne è stato di quel principe che amava la principessa sinceramente, quel principe che, fuori da ogni logica, fuori da ogni razionalità, fuori da ogni economia o calcolo sociale, ha amato la principessa fin dal primo momento in cui l’ha vista, ma non aveva gli strumenti, la bellezza, la prontezza per dichiarare il suo amore? E cosa di chi l’amava talmente tanto da lasciarla libera nel momento della scelta, di prendere in marito un benemerito idiota e non lui?
Cosa di quel principe talmente buono e modesto che non si fa neppure accompagnare dai servitori in un viaggio per la mano della sua amata di sempre? Il mondo avrà chiaramente pietà di lui! È il buono, qui dentro!
E invece no: il mondo è (grazie al cielo!) uguale per tutti, la democrazia della tragedia non risparmia nessuno, non esiste un’economia della bontà, un giudice astrale che guarda le nostre azioni e decide, se siamo stati bravi, buoni o precisi, di preservarci.
C’è troppo nell’universo per metterlo in una fiaba, e se il prezzo è semplificare, io non ci sto.

Si scontreranno, i nostri principi e le nostre principesse, con le responsabilità delle loro scelte. È l’unica cosa che posso augurare, a chiunque legga una storia, magari anche questa: che l’aiuti a farsi un’idea del mondo il più precisa possibile. E questo perché, per quanto mi riguarda, tutto il discorso ha a che fare, alla fine con la cosa più importante di tutte: la felicità.
Se l’aspettativa è precisa, difficilmente si rimane delusi.

Dissolvenza al nero.
Titoli di coda.





[non sono gli auguri più canonici, anzi, forse non sono proprio degli auguri, però ecco: se io sono sopravvissuta a quest'anno, possiamo farcela tutti.
Non mollate. Non molliamo.]

[La foto è bianca, sì, non è un errore di caricamento]


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Edna Von V
Se c'è qualcosa di più importante del mio ego su questa nave, la voglio catturata e fucilata.

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