COS'È: una fotografia chirurgica e fanatica della guerra.

Lo so che la locandina che ho utilizzato non è quella italiana, ma questa è decisamente più esplicativa.
American Sniper esce in un momento che più perfetto non si può, con la strage di Charlie Hebdo ancora in testa: metà dell'audience lo troverà il film dell'anno, l'altra metà uscirà schifata dalla sala.
Io rientro nella seconda tipologia di persona.
E sia chiaro che la regia di Eastwood mi piace: meno la sceneggiatura.
Quindi sì, la mia sarà una recensione sulla scelta stessa del tema del film (il miglior cecchino d'America assurto ad eroe e leggenda) e sulla sua costruzione, ma anche su un principio fondamentale del cinema.
Perché parliamoci chiaro: American Sniper è la versione cinema della locandina I Want You con lo Zio Sam.
Il tutto è filtrato attraverso la visione distorta di Chris (Bradley Cooper) che vede solo ed esclusivamente nemici, in un blocco unico privo di eccezioni.
Il corpo esangue di un collaborazionista esposto rabbiosamente dai suoi concittadini attesta la totale contiguità del popolo iracheno agli estremisti qaedisti, giusto per fugare ogni (eventuale) dubbio.

Appare subito chiaro che i discorsi in apertura film (agnello, lupo, cane pastore) sono solo fuffa, sono la storiella che si racconta il protagonista, il 'lo faccio per la mia famiglia' di Walter White: Chris come primissimo bersaglio secca madre e figlio, senza smettere per un secondo di ripetersi che lui sta proteggendo il suo gregge dai lupi.
Questo aspetto introduce anche due regole fondamentali della sceneggiatura e della cinematografia: 'show, don't tell' (le azioni contano più delle parole)(segnatevelo anche per la vita) e che ogni volta che un personaggio parla di se stesso sta sicuramente mentendo (segnatevi anche questo per la vita vera).

Eastwood lo sa benissimo e piega tutto questo alla tipica retorica del terrorismo: niente civili, solo terroristi. Niente errori, solo atti eroici.
Fosforo bianco? Napalm? Raid a tappeto sui civili? Neanche l'ombra.
L’etnocentrismo americano alla base della narrazione è il punto di fuga: l’unica criticità in questa visione è rappresentata dagli effetti fisici e psicologici post traumatici della sindrome del Golfo.
La drammaticità della guerra, in American Sniper, è tutta qui: non ne troverete altra, non c'è, sul serio.

L'eroe sceglie di arruolarsi dopo gli eventi più drammatici che hanno colpito l'America (l’attentato all’ambasciata di Nairobi del 1998 e l’Undici settembre) trovando così piena giustificazione in ogni suo atto, mentre l'antagonista è il cattivo per eccellenza, un macellaio (sul serio, lo chiamano così) che sevizia con un trapano adulti e bambini.

Guardate American Sniper.
Guardatelo attentamente; poi pensate a come vi sentite e cosa pensate di Chris Kyle.
E magari andate a cancellare qualche #JeSuisCharlie che probabilmente avete scritto con troppa leggerezza.



In una scala da 0 a Leni Riefenstahl: approvato dallo Zar Nicola II



GUARDALO SE:
vuoi una rappresentazione di parte della guerra

EVITA SE:
cerchi un punto di vista un po' più neutro



[sì, le novità di quest'anno sono l'Edna-mometro e una scala che varierà da film a film]


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Edna Von V
Se c'è qualcosa di più importante del mio ego su questa nave, la voglio catturata e fucilata.

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3 commenti:

  1. Interessante, stavo cercando chiarimenti dopo averlo visto: non che sia da capire, ma appunto come dici, il clichè della "moglie abbandonata a casa e io che salvo il mondo, da solo" si è visto tante volte. E anche il finale, con la drammaticità che è davvero successa, è forse un altro richiamo alle armi come "scusa".

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  2. A me il clichè non ha disturbato (nel senso che ci sta) e con un minimo di approfondimento in altri campi poteva essere interessante.
    Ma così è proprio lo spottone per l'arruolamento.

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