COS'È: l'ultima fatica di Wes 'Dio in Terra' Anderson.
L'ho detto nella recensione di Moonrise Kingdom, ma vorrei mettere di nuovo le cose in chiaro, per chi si fosse perso la volta scorsa: Anderson non è uno dei miei registi preferiti.
È una delle persone più importanti della mia vita.
Messi quindi i fatti nella giusta prospettiva, inizio con la recensione:
è possibile girare un noir semitragico ambientato in tempo di guerra e con una struttura a matrioska utilizzando solo toni pastello?
La risposta è sì.
Anzi, Anderson fa di più: crea un film difficile da catalogare, data la sua completezza.
Dovendo limitare al minino le parole da usare, forse direi che si tratta di un action movie a metà tra un thriller e le Avventure di Wile E. Coyote.
Se il retrogusto di tragedia è sempre presente nei suoi film, stavolta Wes supera se stesso: l'azione è incalzante e, per quanto l'ambientazione voglia essere fantastica, le intrusioni di eventi troppo simili alla realtà sono difficili da ignorare.
La violenza inesorabile (testa mozzata, dita amputate e il solito animale morto) rappresentata in una maniera buffa, i drammi quotidiani accostati all'eleganza delle scene, dei costumi e del parlato e la perfetta danza di personaggi che si muovono simmetricamente davanti alla mdp ci restituiscono un mondo che non possiamo considerare reale al 100%, ma che al tempo stesso gronda di affetto e malinconia, come se l'avessimo vissuto.
Per la prima volta Anderson si dedica ad un film ampio e maturo, ricco tanto di corse, lotte, urli e spari quanto di una parvenza di storicità.
Se non siete fan del regista - e molti lo sono - sicuramente leggerete questo aspetto come 'caos'.
Del resto non è certo la prima volta che vi dico che non capite un cazzo, quindi nulla di nuovo.
La verità è che la struttura a matrioska (la lettura della narrazione di una narrazione di una narrazione) permette ad ogni aspetto di avere il proprio settore e il proprio anno di appartenenza: l'aspetto più storico contiene un'analisi sociale che contiene l'avventura su cui si basa il film.
I dolori che hanno caratterizzato l'Europa a metà del secolo scorso sono tratteggiati come indissolubili dall'aria di malinconia e frivolezza tipica dei personaggi di Anderson, per questo il film è coerente e credibile.
Non ci sono nazisti o sovietici propriamente detti, ma la loro rappresentazione è chiara, esattamente come Zubrowka è uno stato inesistente ma realistico.
Guardare Grand Budapest Hotel è come sfogliare un libro popup per bambini sulla Seconda Guerra Mondiale. Il più grande libro popup mai scritto: non potete scegliere se farvi rapire dalla fotografia o dall'azione, perché una parlerà alla vostra parte più innocente e dolce, mentre l'altra farà l'occhiolino al vostro io più cresciuto.
Per la prima volta abbiamo un film che osa confrontarsi a testa alta con la storia europea più tragica, con una leggerezza ed un energia inebrianti: la dura realtà fa spesso capolino dietro le perfette simmetrie andersoniane, ma non arriva mai a guastare il divertimento e l'innocenza.
Un gigantesco libro popup sulla Seconda Guerra Mondiale.
Una tragedia dipinta con colori pastello.
Un macaron fatto di nostalgia e solitudine.
Se non vi emozionate avete ufficialmente un problema, credetemi.
GUARDALO SE:
guardalo, santiddio, che quando ci ricapita un film che parla agli occhi e al cuore.
EVITA SE:
odi Wes Anderson: questo è il più Wesandersoniano di tutti (lo so, lo diciamo ogni volta, ma oh, è un crescendo)
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L'ho detto nella recensione di Moonrise Kingdom, ma vorrei mettere di nuovo le cose in chiaro, per chi si fosse perso la volta scorsa: Anderson non è uno dei miei registi preferiti.
È una delle persone più importanti della mia vita.
Messi quindi i fatti nella giusta prospettiva, inizio con la recensione:
è possibile girare un noir semitragico ambientato in tempo di guerra e con una struttura a matrioska utilizzando solo toni pastello?
La risposta è sì.
Anzi, Anderson fa di più: crea un film difficile da catalogare, data la sua completezza.
Dovendo limitare al minino le parole da usare, forse direi che si tratta di un action movie a metà tra un thriller e le Avventure di Wile E. Coyote.
Se il retrogusto di tragedia è sempre presente nei suoi film, stavolta Wes supera se stesso: l'azione è incalzante e, per quanto l'ambientazione voglia essere fantastica, le intrusioni di eventi troppo simili alla realtà sono difficili da ignorare.
La violenza inesorabile (testa mozzata, dita amputate e il solito animale morto) rappresentata in una maniera buffa, i drammi quotidiani accostati all'eleganza delle scene, dei costumi e del parlato e la perfetta danza di personaggi che si muovono simmetricamente davanti alla mdp ci restituiscono un mondo che non possiamo considerare reale al 100%, ma che al tempo stesso gronda di affetto e malinconia, come se l'avessimo vissuto.
Per la prima volta Anderson si dedica ad un film ampio e maturo, ricco tanto di corse, lotte, urli e spari quanto di una parvenza di storicità.
Se non siete fan del regista - e molti lo sono - sicuramente leggerete questo aspetto come 'caos'.
Del resto non è certo la prima volta che vi dico che non capite un cazzo, quindi nulla di nuovo.
La verità è che la struttura a matrioska (la lettura della narrazione di una narrazione di una narrazione) permette ad ogni aspetto di avere il proprio settore e il proprio anno di appartenenza: l'aspetto più storico contiene un'analisi sociale che contiene l'avventura su cui si basa il film.
I dolori che hanno caratterizzato l'Europa a metà del secolo scorso sono tratteggiati come indissolubili dall'aria di malinconia e frivolezza tipica dei personaggi di Anderson, per questo il film è coerente e credibile.
Non ci sono nazisti o sovietici propriamente detti, ma la loro rappresentazione è chiara, esattamente come Zubrowka è uno stato inesistente ma realistico.
Guardare Grand Budapest Hotel è come sfogliare un libro popup per bambini sulla Seconda Guerra Mondiale. Il più grande libro popup mai scritto: non potete scegliere se farvi rapire dalla fotografia o dall'azione, perché una parlerà alla vostra parte più innocente e dolce, mentre l'altra farà l'occhiolino al vostro io più cresciuto.
Per la prima volta abbiamo un film che osa confrontarsi a testa alta con la storia europea più tragica, con una leggerezza ed un energia inebrianti: la dura realtà fa spesso capolino dietro le perfette simmetrie andersoniane, ma non arriva mai a guastare il divertimento e l'innocenza.
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiQ259HWwE9vk9TX9_hzLdx2gZYmzjOP5R-0sTvn-ERYhaNJUUuRgEbGgvs0ivlrqTwDo9797sPK7UyXwvTC1QxQ3MN88FWFUSl4Cpdl6GdZ6ZyfVA2_XT-FTlt26wS-aaWTAM-e3BE7sc/s1600/OK.png)
Una tragedia dipinta con colori pastello.
Un macaron fatto di nostalgia e solitudine.
Se non vi emozionate avete ufficialmente un problema, credetemi.
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Edna Von V
Se c'è qualcosa di più importante del mio ego su questa nave, la voglio catturata e fucilata.
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